L’Evangelista Luca, autore degli Atti degli Apostoli, termina il racconto riguardante la lapidazione di Stefano con questa frase: “uomini pii seppellirono Stefano e fecero gran lutto per lui” (At 8,2).
Questa usanza, in auge in Palestina per commemorare i defunti particolarmente cari e venerati può costituire il primo vero segno di venerazione verso il diacono-martire. Un piccolo elogio lo fece anche San Paolo chiamandolo “testimone di Cristo” (At 22,20). Il fatto poi che la narrazione del suo martirio fosse inserita in un Libro Sacro come già sottolineava S. Agostino (sermo CXXXV, in PL, XXVIII col. 1426) contribuì a tenere viva la memoria in tutte le comunità cristiane.
Varie sono le leggende circa la sepoltura di Stefano. Secondo alcune fu lo stesso Pilato che raccolse le spoglie del Santo e le seppellì nella tomba di famiglia dalla quale furono in seguito miracolosamente traslate a Kefar-Gamla. Secondo altre versioni invece fu Gamaliele che si fece consegnare dagli Apostoli il corpo del martire e lo trasferì nel suo villaggio di Kefar-Gamla, che si trova a trenta miglia da Gerusalemme. Quello che pare più sicuro e documentato è che il ritrovamento delle reliquie di Stefano avvenne nel 415 per opera del presbitero Luciano. In quel frangete una piccola parte delle spoglie di Stefano sarebbe stata lasciata a Luciano, che n’avrebbe fatto poi dono a vari amici (di qui la diffusione delle reliquie), anche se la maggior parte del corpo del Santo fu invece traslata a Gerusalemme nella chiesa di Sion. Il vescovo della città santa, Giovenale, fece poi costruire una basilica sul presunto luogo della lapidazione di Stefano e tale chiesa fu solennemente inaugurata nel 439 con una cerimonia liturgica presieduta da Cirillo, patriarca di Alessandria (PG, LXXXV, col. 469). In seguito l’imperatrice Eudossia (460) edificò una basilica ancora più grandiosa con annesso monastero; successivamente a Costantinopoli si contarono una dozzina di chiese dedicate al Santo: gran parte di queste furono poi razziate nel sec. XII dai latini della IV crociata.
Sul culto dei primi secoli esistono documentazioni importanti. Nel sec. IV in Oriente vari Padri tennero Sermoni in onore del Santo (segno evidente di venerazione); possediamo, oltre quelli di S. Agostino sopra ricordati, quelli di San Gregorio di Nissa (PG, LVI, coll, 701-36), di S. Astero di Amasea (PG, XL, coll. 337-52) di San Basilio di Seleucia (PG, LXXXV, coll. 461-73). Si tratta di un culto precedente il ritrovamento delle reliquie del 415. Come giorno di festa, stando al Martirologio siriano del sec. IV, la data era il 26 dicembre. Col secolo V l’esplosione del culto di Stefano fu veramente eccezionale e ciò si deve a Luciano e alla distribuzione di reliquie in ogni parte del mondo cattolico. La fama di taumaturgo incrementò poi maggiormente il culto.
Così le feste liturgiche si moltiplicarono o per la traslazione delle reliquie o per la dedicazione di chiese. In Occidente oltre al 26 dicembre entrò nel calendario liturgico, dopo il X secolo, una festa al 2-3 agosto (ritrovamento del corpo). Reliquie del martire sono venerate in moltissime località (sulla loro autenticità c’è molto da dubitare, ovviamente). A Roma, nel Medioevo, fra cappelle e chiese in onore del protomartire se ne contavano circa una trentina; la più famosa è quella di S. Stefano Rotondo sul Celio, eretta sotto papa Simplicio (486). Singolare la venerazione del 2 agosto in Ancona, ove, tra l’altro, era conservata una delle pietre che servì alla lapidazione. Altre località italiane, come Ravenna, Napoli, Milano ebbero grande venerazione per il diacono-martire. Esistono testimonianze di culto in Spagna; infatti reliquie furono donate da Luciano al Vescovo Orosio di Minorca (PL, XX, coll. 731). Sopratutto in Africa, dopo il ritrovamento del 415, fu oggetto di grandissimo culto: ad Uzalum (De miraculis S. Stephani, I, 3, in PL, XLI, coll. 885), a Calama sotto il Vescovo Possidonio e ad Ippona durante l’episcopato di S. Agostino (De Civitate Dei, XXII, 8). Anche in Francia si ha antica testimonianza di culto (Gregorio di Tours, De Gloria Martyrum, 34 in PL, LXXI, coll. 7324).
L’intervento autorevole di Agostino contribuì, assieme alla narrazione del ritrovamento delle reliquie del 415, a fare del culto di Santo Stefano Protomartire uno dei più diffusi e popolari di tutto il mondo cristiano.

L’Evangelista Luca, autore degli Atti degli Apostoli, termina il racconto riguardante la lapidazione di Stefano con questa frase: “uomini pii seppellirono Stefano e fecero gran lutto per lui” (At 8,2).
Questa usanza, in auge in Palestina per commemorare i defunti particolarmente cari e venerati può costituire il primo vero segno di venerazione verso il diacono-martire. Un piccolo elogio lo fece anche San Paolo chiamandolo “testimone di Cristo” (At 22,20). Il fatto poi che la narrazione del suo martirio fosse inserita in un Libro Sacro come già sottolineava S. Agostino (sermo CXXXV, in PL, XXVIII col. 1426) contribuì a tenere viva la memoria in tutte le comunità cristiane.
Varie sono le leggende circa la sepoltura di Stefano. Secondo alcune fu lo stesso Pilato che raccolse le spoglie del Santo e le seppellì nella tomba di famiglia dalla quale furono in seguito miracolosamente traslate a Kefar-Gamla. Secondo altre versioni invece fu Gamaliele che si fece consegnare dagli Apostoli il corpo del martire e lo trasferì nel suo villaggio di Kefar-Gamla, che si trova a trenta miglia da Gerusalemme. Quello che pare più sicuro e documentato è che il ritrovamento delle reliquie di Stefano avvenne nel 415 per opera del presbitero Luciano. In quel frangete una piccola parte delle spoglie di Stefano sarebbe stata lasciata a Luciano, che n’avrebbe fatto poi dono a vari amici (di qui la diffusione delle reliquie), anche se la maggior parte del corpo del Santo fu invece traslata a Gerusalemme nella chiesa di Sion. Il vescovo della città santa, Giovenale, fece poi costruire una basilica sul presunto luogo della lapidazione di Stefano e tale chiesa fu solennemente inaugurata nel 439 con una cerimonia liturgica presieduta da Cirillo, patriarca di Alessandria (PG, LXXXV, col. 469). In seguito l’imperatrice Eudossia (460) edificò una basilica ancora più grandiosa con annesso monastero; successivamente a Costantinopoli si contarono una dozzina di chiese dedicate al Santo: gran parte di queste furono poi razziate nel sec. XII dai latini della IV crociata.
Sul culto dei primi secoli esistono documentazioni importanti. Nel sec. IV in Oriente vari Padri tennero Sermoni in onore del Santo (segno evidente di venerazione); possediamo, oltre quelli di S. Agostino sopra ricordati, quelli di San Gregorio di Nissa (PG, LVI, coll, 701-36), di S. Astero di Amasea (PG, XL, coll. 337-52) di San Basilio di Seleucia (PG, LXXXV, coll. 461-73). Si tratta di un culto precedente il ritrovamento delle reliquie del 415. Come giorno di festa, stando al Martirologio siriano del sec. IV, la data era il 26 dicembre. Col secolo V l’esplosione del culto di Stefano fu veramente eccezionale e ciò si deve a Luciano e alla distribuzione di reliquie in ogni parte del mondo cattolico. La fama di taumaturgo incrementò poi maggiormente il culto.
Così le feste liturgiche si moltiplicarono o per la traslazione delle reliquie o per la dedicazione di chiese. In Occidente oltre al 26 dicembre entrò nel calendario liturgico, dopo il X secolo, una festa al 2-3 agosto (ritrovamento del corpo). Reliquie del martire sono venerate in moltissime località (sulla loro autenticità c’è molto da dubitare, ovviamente). A Roma, nel Medioevo, fra cappelle e chiese in onore del protomartire se ne contavano circa una trentina; la più famosa è quella di S. Stefano Rotondo sul Celio, eretta sotto papa Simplicio (486). Singolare la venerazione del 2 agosto in Ancona, ove, tra l’altro, era conservata una delle pietre che servì alla lapidazione. Altre località italiane, come Ravenna, Napoli, Milano ebbero grande venerazione per il diacono-martire. Esistono testimonianze di culto in Spagna; infatti reliquie furono donate da Luciano al Vescovo Orosio di Minorca (PL, XX, coll. 731). Sopratutto in Africa, dopo il ritrovamento del 415, fu oggetto di grandissimo culto: ad Uzalum (De miraculis S. Stephani, I, 3, in PL, XLI, coll. 885), a Calama sotto il Vescovo Possidonio e ad Ippona durante l’episcopato di S. Agostino (De Civitate Dei, XXII, 8). Anche in Francia si ha antica testimonianza di culto (Gregorio di Tours, De Gloria Martyrum, 34 in PL, LXXI, coll. 7324).
L’intervento autorevole di Agostino contribuì, assieme alla narrazione del ritrovamento delle reliquie del 415, a fare del culto di Santo Stefano Protomartire uno dei più diffusi e popolari di tutto il mondo cristiano.

Statua

Emilio Greco
(Catania, 1913 – Roma, 195)
Da autodidatta si occupa di scultura fin dalla giovinezza, ispirandosi alle terrecotte etrusche ed alla ritrattistica di epoca romana.
All’inizio degli anni sessanta realizza alcuni bassorilievi per la chiesa di San Giovanni Battista costruita dall’architetto Michelucci a Firenze. Nel 1961 il Musée Rodin di Parigi gli dedica una importante mostra. Dal 1962 al 1970 realizza le porte del Duomo di Orvieto, mentre nel 1967 era stato inaugurato in San Pietro il suo Monumento a Giovanni XXXIII.
Sue opere figurano nei principali musei del mondo.

La data scelta fin dalla prima presenza ecclesiale in Porto S. Stefano è il 3 agosto; la prima cappella fu fatta costruire nel 1607 dal governatore spagnolo Nunez Orejon per festeggiare il santo.
Ogni anno la comunità parrocchiale di Porto S. Stefano ricorda e festeggia il suo Santo Patrono con una processione la sera del 2 agosto, che parte dalla Chiesa Parrocchiale dedicata allo stesso e attraversa le vie del paese, con la preghiera e il canto; una parte del percorso avviene in mare sulle piccole imbarcazioni da diporto e pesca. Si conclude con l’arrivo nella piazza, dove il Vescovo diocesano, dopo una riflessione, dona la benedizione a tutti i presenti. Il 3 agosto, giorno in cui si ricorda il ritrovamento delle reliquie di S. Stefano, la comunità si ritrova nella Chiesa parrocchiale per la solenne Messa, presieduta dal Vescovo, concelebrata dai sacerdoti della vicaria.