I primi dati biografici sull'Apostolo Giacomo,
detto il Maggiore per distinguerlo dall'apostolo omonimo Giacomo di Alfeo,
provengono fondamentalmente dai Vangeli. Sappiamo che era figlio di Zebedeo,
pescatore in Betsaida, e di Salomé, nonché fratello di
Giovanni l'Evangelista. Si suole pensare che la famiglia di Zebedeo fosse
imparentata con la famiglia di Gesù, a giudicare dalla familiarità con
cui Salomé chiedeva a Gesù incarichi privilegiati per i suoi due figli.
Circa il luogo di nascita, sono molti gli autori che lo collocano nella
località di Jaffa, vicino a Nazareth, sulle rive del lago Genesareth. Il
suo mestiere era la pesca, attività a cui partecipavano anche gli altri
due fratelli Simone (Pietro) e Andrea. Dai pescatori di Galilea Gesù
elesse i suoi primi quattro discepoli: Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni.
San Luca racconta (Lc 9,51) che andando verso Gerusalemme, mentre passava
per un villaggio della Samaria, gli abitanti non vollero dar loro riparo e
Giacomo con suo fratello desiderarono "che venisse fuoco dal
cielo e che li consumasse". In un'altra occasione chiesero a Gesù
di essere i primi, al di sopra di Pietro (Mt 20,23). Tutto ciò pare
indicare in loro un temperamento ed un carattere forte e deciso. Per
questo Gesù dette loro il nome di "Boanerghes",
cioè figli del tuono (Mc 3, 17) nome che ne rispecchia l'indole ardente,
schietta ed aperta. La sua veemenza e perseveranza nella predicazione sono
testimoniate nel Codice Calixtino (XII secolo),
libro fondamentale della tradizione giacobea, che lo qualifica come "santo
di mirabile forza, benedetto nel suo modo di vivere, stupefacente per le
sue virtù, di grande ingegno, di brillante eloquenza". Negli
avvenimenti chiave viene scelto come testimone speciale. È uno degli
eletti che assiste nel Tabor alla Trasfigurazione; accompagna Cristo
nell'orto di Getsemani; è testimone della resurrezione della figlia di
Jairo. Queste circostanze indicano senza dubbio l'affetto che nutriva
Cristo per questo Apostolo. Dopo la crocifissione di Cristo, Giacomo il
Maggiore, totalmente identificato con la dottrina del suo maestro, si
convertì nel principale predicatore nella comunità di Gerusalemme,
riscuotendo grande ammirazione per il fervore e la sincerità delle sue
parole.
Si pensa che l'Apostolo abbia realizzato il viaggio dalla Palestina alla
Spagna in una delle tante navi commerciali che veleggiavano lungo tutto il
Mediterraneo, sbarcando nelle coste dell'Andalusia, terra in cui cominciò
la sua predicazione. Proseguì la sua missione evangelizzatrice a Coimbra
e a Braga, passando, secondo la tradizione, attraverso Iria Flavia nel “Finis
Terrae” ispanico, dove proseguì la predicazione. Nel “Breviario
degli Apostoli” (fine del VI secolo) viene
attribuita per la prima volta a San Giacomo l'evangelizzazione della
"Hispania" e delle regioni occidentali, si sottolinea
il suo ruolo di strumento straordinario per la diffusione della tradizione
apostolica, così come si parla della sua sepoltura in Arca Marmárica.
Successivamente, già nella seconda metà del VII secolo, un erudito
monaco inglese chiamato Beda il Venerabile, cita di nuovo
questo avvenimento nella sua opera, ed indica con sorprendente esattezza
il luogo della Galizia dove si troverebbe il corpo dell'Apostolo.
La tradizione popolare indica la presenza del corpo di San Giacomo nelle
cime prossime alla valle di Padrón, ove esisteva il culto delle acque.
Ambrosio de Morales nel XVI secolo, nella sua opera il Viaggio Santo dice:
"Salendo sulla montagna, a metà del fianco, c'è una chiesa dove
dicono che l'Apostolo pregasse e dicesse messa, e sotto l'altare maggiore
si protende sin fuori della chiesa una sorgente ricca d'acqua, la più
fredda e delicata che abbia provato in Galizia". Questo luogo
esiste attualmente ed ha ricevuto il nome affettuoso di "O
Santiaguiño do Monte". Uno degli autori dei sermoni raccolti
nel Codice Calixtino, riferendosi alla predicazione di San Giacomo in
Galizia, dice che "colui che vanno a venerare le genti, Giacomo,
figlio di Zebedeo, la terra della Galizia invia al cielo stellato".
Il ritorno in Terra Santa, si svolse lungo la via romana di Lugo,
attraverso la Penisola, passando per Astorga e Zaragoza, ove, sconfortato,
Giacomo riceve la consolazione ed il conforto della Vergine, che gli
appare (secondo la tradizione il 2 gennaio del 40) sulle rive del fiume
Ebro, in cima ad una colonna (pilar) romana di quarzo, e gli
chiede di costruire una chiesa in quel luogo. Questo avvenimento servì
per spiegare la fondazione della Chiesa di Nuestra Señora del Pilar a Zaragoza, oggi basilica ed importante santuario mariano del
cattolicesimo spagnolo. Da questa terra, attraverso l'Ebro, San Giacomo
probabilmente si diresse a Valencia, per imbarcarsi poi in un porto della
provincia di Murcia o in Andalusia e far ritorno in Palestina tra il 42
ed il 44 d.C..
Oramai in Palestina, Giacomo, assieme al gruppo dei "Dodici",
entra a far parte delle colonne portanti della Chiesa di Gerusalemme,
ricoprendo un ruolo di grande importanza all'interno della comunità
cristiana della Città Santa. In un clima di grande inquietudine
religiosa, dove di giorno in giorno aumentava il desiderio di sradicare
l'incipiente cristianesimo, sappiamo che fu proibito agli apostoli di
predicare. Giacomo tuttavia, disprezzando tale divieto, annunciava il suo
messaggio evangelizzatore a tutto il popolo, entrando nelle sinagoghe e
discutendo la parola dei profeti. La sua gran capacità comunicativa, la
sua dialettica e la sua attraente personalità, fecero di lui uno degli
apostoli più seguiti nella sua missione evangelizzatrice. Erode
Agrippa I, re della Giudea, per placare le proteste delle autorità
religiose, per compiacere i giudei ed assestare un duro colpo alla comunità
cristiana, lo sceglie in quanto figura assai rappresentativa e lo condanna
a morte per decapitazione. In questo modo diventa il primo martire
del collegio apostolico. Questa del martirio di San Giacomo il
Maggiore è l'ultima notizia tratta dal Nuovo Testamento. Secondo la
tradizione, lo scriba Josias, incaricato di condurre Giacomo al supplizio,
è testimone del miracolo della guarigione di un paralitico che invoca il
santo. Josias, turbato e pentito, si converte al cristianesimo e supplica
il perdono dell'Apostolo: questi chiede come ultima grazia un recipiente
pieno d'acqua e lo battezza. Ambedue verranno decapitati nell'anno 44.
Dice la leggenda che due dei discepoli di San Giacomo, Attanasio e
Teodoro, raccolsero il suo corpo e la testa e li trasportarono in
nave da Gerusalemme fino in Galizia. Dopo sette giorni di navigazione
giunsero sulle coste della Galizia, ad Iria Flavia, vicino l'attuale paese
di nome Padrón.
Una volta approdati, i discepoli incontrarono seri problemi per seppellire
il corpo del loro maestro, a causa della regina Lupa, ma soprattutto del
re Duyo, nemico dichiarato del cristianesimo. Dopo una serie di fatti
miracolosi, la regina Lupa si convertì al cristianesimo e l'Apostolo fu
sepolto nel luogo che successivamente vedrà la nascita della città di
Santiago.
Per secoli della tomba dell’Apostolo non
abbiamo altre notizie, mentre abbiamo alcune importanti testimonianze
circa la predicazione e il culto: quella sicuramente più autorevole ci è
stata tramandata da Isidoro di Siviglia (+636) e nella
seconda metà del secolo VIII dal presbitero Beato di Liébana nei suoi celebri Commentari all’Apocalisse. A
lui è attribuito l’inno liturgico "O Dei Verbum", parte dell'ufficio divino del rito nella festività
dell'Apostolo san Giacomo. E' il primo documento che cita la venuta di
Santiago in Spagna (e lo elegge come patrono della Spagna), già prima
dell'invenzione (della scoperta) della tomba a Finisterre.
Scritto tra il 738 ed il 788 (il periodo di regno di Mauregato,
espressamente citato nell'inno) si compone di 60 versi, distribuiti in
dodici strofe di cinque versi ciascuna, che riprendono l'Apocalisse, il
commento di Tyconio, il culto mozarabico, il tema della dispersio
apostolorum in dodici diversi paesi dell'universo mondo. Cristo è il
verbo di Dio creatore, luce del mondo, figlio di Maria, re e sacerdote,
adornato di dodici pietre preziose. Comincia il giorno mette in fuga le
tenebre nel suo percorso di dodici ore. Brilla la luce di Cristo nelle
lampade dei dodici candelabri, che sono il simbolo degli apostoli, i quali
diedero testimonianza in tutto il mondo, ciascuno in un paese diverso. Tra
loro emergono i "Figli del Tuono", Giovanni e
Giacomo il Maggiore, la cui madre sollecitò per loro i primi
posti nel regno ed entrambi stavano ai lati di Cristo nell'Ultima Cena. Il
primo con il capo appoggiato sul suo petto. Entrambi hanno avuto il premio
del cielo. Il secondo mediante il martirio, fino alla decapitazione.
All’inizio del secolo IX avviene la svolta, e come spesso accade storia
e leggenda si mescolano insieme: il nord della Spagna appartiene al regno
cristiano delle Asturie, che include la Galizia e la frangia cantabrica,
con capitale Oviedo e sovrano è il re Alfonso II, detto
il Casto (791-842). Il resto della penisola è sotto la dominazione araba
e dal secolo antecedente vi è una lotta per il predominio politico e
religioso della penisola iberica che durerà circa ottocento anni, periodo
che ha avuto il nome di Reconquista
Dice la tradizione che un eremita di nome Pelagio (uomo del mare), che viveva in un luogo chiamato Solovio (attualmente sede della chiesa di San Fiz de Solovio, nell'attuale Santiago de Compostela), osservò durante numerose notti, nel bosco di Libredón, delle luci nel cielo, simili a stelle cadenti, che rischiaravano un punto preciso del bosco (anno 813). Quella stella rivelatrice e artefice del ritrovamento della tomba di San Giacomo, diventerà un'altro dei simboli legati all'Apostolo ed al suo culto. Ma non si trattò di una semplice pioggia di stelle, la rotta del Cammino di Santiago è impressa da sempre nella volta celeste ed è nota col nome di Via Lattea. Per questo motivo, il cammino che porta alla città di Santiago è detto anche “Cammino delle stelle”. Pelagio, impressionato dalle visioni, si presentò a Teodomiro, vescovo della diocesi di Iria Flavia, per comunicargli il ritrovamento. Il vescovo di fronte alle insistenze di Pelagio, riunì un piccolo seguito e si diresse immediatamente al Libredón. Nel mezzo del bosco egli stesso fu testimone del miracoloso fenomeno descritto dall'eremita. Una gran luce illuminava il luogo dove rinvennero, tra la fitta vegetazione, il sepolcro di pietra contenente tre corpi, identificati come quello di Giacomo il Maggiore e dei suoi due discepoli Teodoro e Attanasio. Il primo documento che descrive con dovizia di particolari il ritrovamento, è la Concordia de Antealtares del 1077.
La reconquista della Spagna sui mori
Teodomiro avvisò immediatamente il re Alfonso II, che giunse rapidamente da Oviedo per visitare il luogo e constatare il miracoloso ritrovamento. Del ritrovamento furono informati anche il papa Leone III, l’imperatore Carlo Magno e gli altri principi cristiani. Sopra la tomba il re delle Asturie Alfonso II il Casto fece innalzare una prima modesta basilica, segno della venerazione di cui il potere laico voleva circondare il corpo dell'Apostolo. Alfonso III il Grande (866-912) la ricostruì in marmo e trasferì a Compostela il seggio episcopale che prima era a Iria Flavia.
Il re confidava nel cristianesimo come elemento
unificatore contro l'Islam, e capì che le reliquie dell'Apostolo
avrebbero costituito un poderoso strumento politico e religioso che
avrebbe rafforzato la chiesa asturico-galaica nei confronti degli attacchi
arabi e dell'espansionismo carolingio Non è difficile cercare una
spiegazione di tale fervore. Senza dubbio i re cristiani del nord della
Spagna hanno, dopo il IX secolo, usato il patronato dell'apostolo come
simbolo dell'unità cristiana nella lotta contro i musulmani, mentre gli
ordini religiosi e in particolare Cluny, hanno messo a
disposizione del pellegrinaggio la loro influenza e una parte delle loro
immense risorse. Santiago simboleggia la reconquista della Spagna sui mori: croce contro mezzaluna, Cristo contro Maometto.
Nonostante che il flusso e il riflusso degli infedeli abbia
alternativamente sommerso e liberato la Spagna per molti secoli, è
soprattutto durante l'XI e il XII secolo che esplode questo movimento
politico-religioso. Questa crociata fu posta sotto il segno di un santo e
si scelse san Giacomo, anche perché secondo la leggenda aveva
evangelizzato la Spagna e nell'844, a Clavijo, località
ad una quindicina di chilometri da Logrono, mentre il re asturiano Ramiro
I combatteva i saraceni, sarebbe apparso, spada alla mano, cavalcando un
cavallo bianco: il figlio del tuono avrebbe letteralmente sconvolto e
messo in fuga gli arabi. San Giacomo divenne allora il Matamoros,
lo sgominatore dei mori. Da allora sarà testimone delle più importanti
battaglie della riconquista. Questo Santo belligerante troverà ampio
risalto nell’iconografia jacobea: l’immagine dell’Apostolo cavaliere
e guerriero si inserirà nel filone della Chanson de geste del
ciclo carolingio e nell’idea politico-religiosa della riconquista fino
ai giorni nostri (nel secolo XVI diventerà Mataindios nella
conquista del continente latinoamericano e successivamente durante la
Guerra Civile spagnola Matarojos). Poco a poco i cristiani
recuperarono i loro domìni e convertirono Compostela nel punto focale di
rinascita spirituale del regno asturico-leonese. La città col tempo finì
col rivaleggiare con Roma e Gerusalemme in quanto a potere di attrazione,
diventando il maggior centro di peregrinazione di tutta la cristianità.
Non solo. La città di Compostella risultò nel x secolo insieme a Cordova
la città simbolo della “guerra santa” e della Riconquista.
Il 10 agosto del 997 l’esercito moro guidato dal generale arabo Al-Manzor saccheggia e distrugge totalmente la capitale della Galizia, radendo al
suolo anche la seconda basilica fatta edificare da Alfonso III. Al-Manzor
incendiò completamente la città, ma non osò distruggere la tomba
dell’Apostolo, forse per rispetto alla meta del pellegrinaggio che anche
nella religione araba riveste un ruolo sacro particolarmente importante.
Si porta via come trofeo le campane e le porte della Chiesa che, a spalle
dei cristiani fatti schiavi, vengono trasferite a Cordova per servire come
lampade nella sontuosa moschea califfale. Nel 1236 campane e porte
ritorneranno trionfalmente a Compostella quando il re Fernando III di
Castiglia riuscirà a conquistare Cordova: più di duemila prigionieri
mori catturati nella presa della città le riporteranno scalzi e ricolme
d’acqua nella Cattedrale di Santiago.
La cattedrale
Già dal 1075 con il Vescovo Diego Pelàez era iniziata la ricostruzione di quella che poi sarà l’attuale basilica, sostenuto nell’impresa dal re Alfonso VI di Castiglia e Leon. Dieci anni più tardi il vescovo Pelaez cadde in disgrazia, i lavori proseguirono a rilento fino alla elezione di Diego Gelmirez. Sotto la sua guida Compostella diventò sede arcivescovile (anno 1120 con la bolla Omnipotentis dispositione di Papa Callisto II), egli costruì l’imponente palazzo vescovile (che ancora oggi ammiriamo a fianco della cattedrale) e portò avanti con energia la costruzione della chiesa. Entriamo così nella terza fase dei lavori, durante la quale fra le torri occidentali si costruì un nartece con matroneo e con un ricchissimo portale tripartito decorato di statue, il portico occidentale denominato poi per la sua ricchezza simbolica e teologica il Portico de la Gloria. Nel 1168 Ferdinando II di Leon affidò l’incarico al suo giovane architetto conosciuto con il nome di Maestro Matèo il quale nel 1188 portò a termine il portale centrale come è attestato da una iscrizionee fu attivo nel cantiere della cattedrale fino al 1211, anno della consacrazione conclusiva della chiesa.
Il portico di Mateo si iscriverà come
uno dei capolavori dell’arte mondiale e non solo il vertice
architettonico-simbolico della cultura medievale del secolo XII. Il
triplice portale strombato ha i suoi precedenti più illustri nel portico
di Vézelay (1120 ca.), Dijion, Autun, Paray-le-Monial, nelle grandi
cattedrali come Chartres, come anche il richiamo allo stile
“bizantineggiante” che ricorda Venezia, Palermo e Cefalù. Tuttavia
l’opera del Maestro Mateo è un unicum di grande e suggestivo
impatto: la facciata del Portico della Gloria presenta una struttura
architettonica a tre piani sovrapposti, in cui si impiegarono per la prima
volta in Spagna volte a doppia crociera. Il piano inferiore o cripta,
popolarmente noto come “cattedrale vecchia”, fu dedicato
all’apostolo san Giacomo il Minore e oltre alla necessità strutturale
di sostegno ben delineate da un grande pilastro centrale che sostiene gi
archi e i costoloni delle volte del deambulatorio, rappresenta
simbolicamente il mondo terreno, decorato con una profusione di fogliame e
il mondo delle passioni umane, un mondo che ha bisogno della luce degli
astri del firmamento, il sole e la luna, recati dagli angeli scolpiti
nella chiave delle volte centrali.
Il secondo piano, quello principale, è il portico vero e proprio, entrata
occidentale della chiesa è composto da un portico a tre archi, con
statue-colonne e rilievi in granito e marmo, originariamente policromi.
Sopra le volte con nervatura di questa seconda struttura si eleva la
tribuna, che da su un ampio corridoio che percorre tutto il perimetro
della cattedrale in altezza, incluse le estremità del transetto e il
deambulatorio: si completa così la struttura architettonica
dell’edificio articolata su tre piani e integrata da tre spazi
sovrapposti, cripta-portico-tribuna.
Il portico della Gloria è una sorta di canto del cigno della cultura
medievale occidentale del XII secolo, segna il vertice di un’epoca ma
anche il passaggio di fase che comincia a delinearsi nell’Europa
cristiana: le nuove cattedrali del XIII secolo tenderanno a
smaterializzare i loro muri, preferendo le vetrate alla pietra. Ma è
soprattutto il richiamo teologico che ha fatto del Portico più che
un’opera d’arte o di mirabile architettura. Siamo di fronte ad una “Summa”
di alta spiritualità e catechesi alla cui base sta il testo dell’Apocalisse
di Giovanni, guida teologica eloquente per comprendere il valore
e il livello simbolico del Portico della Gloria e della cattedrale di
Santiago, nel loro insieme, come immagine della Gerusalemme celeste, alla
quale accorrono in pellegrinaggio tutti i popoli del mondo per venerare le
reliquie dell’apostolo e pellegrino e cantare le meraviglie del Signore
nel suo tempio. Il tempio apostolico è il simbolo della “nuova
Gerusalemme che scende dal cielo come una sposa adorna, pronta
all’incontro col suo sposo” (Ap. 21,2). Si tratta, quindi, di una
rappresentazione della città celeste (“civitas dei”)
prendendo per questo simboli provenienti dall’Apocalisse di Giovanni,
dal IV Libro di Esdra, e dagli elementi apocalittici contenuti nei profeti
Isaia, Ezechiele e Daniele.
L’arco centrale, il più maestoso, è presieduto dal Cristo
glorioso in trono, secondo la visione
dell’apostolo Giovanni, fratello di Giacomo, che ebbe nell’esilio
dell’isola di Patmos e culminata nel grande libro che interpreta la
storia dell’umanità “sub specie aeternitatis”, l’Apocalisse.
Il testo giovanneo più di ogni altro affascinò la cristianità latina
avanti e dopo l’anno mille: tale interesse fu inoltre alimentato grazie
alla diffusione in Occidente, tra il X e il XII secolo, dei codici miniati
del Commentario all’Apocalisse del Beato di Liébana,
figura chiave nella promozione del culto verso Santiago. Beato combatté
l’eresia adozionista del vescovo di Toledo , Elipando.
Con lui si schierò il grande Alcuino, precettore di Carlomagno .
I suoi Commentari furono miniati nei monasteri di Navarra , di Castiglia e
del León e, per la loro forza visionaria, divennero
un best-seller dei cosiddetti secoli bui, copiati e ricopiati decine di
volte. In essi,
l' arte mozarabica , nata
dall'incontro nella penisola iberica della tradizione cristiana e di
quella musulmana, trova la sua massima espressione. Fu l'autore più
letto, spesso l'unico, nei monasteri europei medievali dal IX all'XI
secolo.
Nel timpano dell’arco centrale incontriamo riassunte
diverse pagine dell’Apocalisse. Presiede la scena una immagine maestosa
e ieratica di Cristo Salvatore, indubbiamente inspirata nella descrizione
che del Figlio dell’Uomo fa l’apostolo Giovanni nell’Apocalisse
(1,1-18). In accordo con questo testo, lo troviamo cosciente della sua
dignità e del suo potere. Nelle sue mani e nei suoi piedi mostra le
cicatrici delle piaghe, come agnello immolato, attraverso la sua
immolazione ottiene il trionfo. Le sue vesti vogliono dimostrare la
realizzazione del suo sacerdozio. Completando l’idea dell’agnello
immolato e ispirato nella stessa Apocalisse (5,14) ci presenta Matèo otto
bellissimi angeli con gli strumenti della passione: la colonna, la Croce,
la corona di spine, i quattro chiodi e la lancia; una pergamena e una
brocca, alludendo sicuramente alla sentenza e a Pilato che si lava le
mani; e per ultimo una canna, una spugne e una pergamena nella quale
probabilmente stava la scritta INRI. L’umanizzazione della figura di
Cristo nel timpano è in sintonia con la nuova sensibilità sviluppata in
Occidente nel corso del XII secolo: attraverso la rappresentazione
sofferente e umana di Gesù il fedele si sente da lui attratto; non più
la distante e severa immagine del Cristo giudice, caratteristica
dell’iconografia tradizionale del romanico, soprattutto avanti l’anno
mille, ma un Cristo compassionevole e buono, che mostra sereno la sua
vittoria sul male e sulla morte.
La figura del Cristo in maestà, giudice dell’ultimo giorno, trionfa
come Salvatore e Redentore, a torso nudo ma con i segni della passione ben
in vista è circondata dai quattro evangelisti, ognuno rappresentato con i
propri simboli Matteo sopra il banco di riscossione dei tributi; sotto
Marco sopra il leone alato; a sinistra Giovanni sopra l’aquila e sotto
Luca sopra il toro. Alla destra del trono di Dio, tra san Luca e san
Giovanni, sgorga il fiume dell’acqua della vita che va a fertilizzare la
nuova Gerusalemme (Ap 22,1). Presso il trono, due angeli con gli
incensieri che da ambo i lati rendono omaggio al Signore Sovrano (Ap.
8,3-4). Nell’archivolto sono rappresentati i ventiquattro anziani
dell’Apocalisse nell’atto di accordare i propri strumenti musicali per
la solenne liturgia celeste (Ap. 4): essi rappresentano nella visione
apocalittica le 24 classi di cantori e sacerdoti dell’antico tempio di
Gerusalemme, sono seduti in una specie di divano dialogando tra di loro e
vestendo tuniche bianche e sopra le loro teste portano una corona d’oro.
Nelle loro mani sostengono gli strumenti musicali (14 chitarre, 4 salteri,
2 arpe).
La lettura e la contemplazione del portico va
necessariamente estesa ai due archi: in quello di sinistra è
rappresentato l’Antico Testamento e soprattutto l’attesa messianica,
in quello di destra il Giudizio finale o escatologico. La ricca
composizione figurativa dei due archi viene sostenuta da statue-colonna,
montate su un gruppo di colonne in granito a fusto liscio, alternate ad
altre istoriate, in marmo ed elicoidali: il tutto in perfetta simmetria
spaziale e tematica con la colonna dell’arco centrale dove sul lato
sinistro è presente la scena del sacrificio di Isacco messa in relazione
col sacrificio di Cristo; al lato destro invece si trova la scena della
risurrezione dei morti, in relazione con il giudizio finale dell’arco
destro. Le statue-colonna di sinistra rappresentano Mosè, Isaia, Daniele
e Geremia recanti cartigli con i versetti biblici (cancellati con
l’andar del tempo) che annunciano la venuta del Messia; le
statue-colonne di destra rappresentano invece gli apostoli di Cristo e
della Chiesa Pietro, Paolo, Giacomo e Giovanni nell’atto di conversare.
Il doppio sistema portante è retto da un basamento di animali fantastici,
forse simbolo dei peccati e dei vizi, schiacciati dal potere spirituale
che il portico esprime con forza e vitalità. Sicuramente questo tema è
ripreso nelle scena dell’arco centrale, alla cui base si può leggere
l’episodio di Daniele nella fossa dei leoni (Dan. 7-12), episodio
interpretato fin dall’antichità in chiave cristologia: Matèo scolpisce
la figura maschile con barba e capigliatura abbondanti nel momento in cui
sta aprendo con le mani le fauci di due leoni. Sul lato opposto di questa
immagine si trova la figura di un fedele che prega inginocchiato, rivolto
verso l’altare, con la mano destra sul petto, ad esprimere la sincerità
della sua fede: è il “santo dos croques” (il santo delle
capocciate, perché i pellegrini son soliti poggiarvi la loro testa, quasi
a trarne sapienza e ispirazione), presunto autoritratto, secondo una
tradizione, dell’autore del portico stesso, il Maestro Matèo.
La colonna centrale (detta albero
di Jesse) raffigura la storia genealogica di Cristo, ed è sormontata
dalla statua dell’apostolo Giacomo colma di espressione e serena
bellezza in viso, nell’atto benevolo di accogliere i pellegrini e
soprattutto nel suo ruolo di intercessore dei fedeli presso il Salvatore,
che presiede il timpano della gloria. E’ l’immagine più celebrata di
san Giacomo, colonna della chiesa in una sorta di rappresentazione
allegorica della mediazione della Chiesa stessa, posta tra Dio e gli
uomini. L’apostolo appare maiestatico, seduto su un seggio che poggia su
dei leoni, vestito con la tunica e il mantello, a piedi nudi, coronato da
un nimbo di rame dorato, appoggia la mano sinistra su un bastone a forma
di tau e sulla destra ha un rotolo di pergamena, con il testo “Misit
me Dominus” (Mi ha mandato il Signore). Solennemente collocato in
cathedra l’apostolo occupa il posto riservato di solito, nei
portali romanici, al Cristo Salvatore o alla Vergine Maria. L’immagine
dell’Apostolo è come “trasfigurata”, curata nella
proporzione delle forme e della quiete spirituale che sprigiona da tutto
il suo essere ha nella serenità e al contempo nella solennità del volto
il suo elemento spirituale più alto. Anche la sua collocazione
“architettonica” è sorprendente: sopra il capitello della
Trinità, che riepiloga la generazione eterna di Cristo come figlio di Dio
e il capitello delle tentazioni di Cristo che fa da preambolo al timpano
della Gloria. E’ evidente il significato simbolico: l’uomo, pur
portando in sé l’immagine della Trinità (Gen 1,26) è sottoposto
continuamente alle prove e tentazioni della vita, prima di arrivare alla
gloria del paradiso, in questo aiutato dall’intercessione fraterna
dell’apostolo, amico del Signore. Il cammino dell’uomo raggiunge il
suo fine di partecipazione alla vita divina, nonostante le difficoltà e
il combattimento contro le forze del male.
Questa colonna di marmo, incastonata tra cinque colonne con i fusti
ricavati da un unico blocco di granito, raffigura la genealogia umana di
Cristo: da Jesse, padre del re David, che dorme placidamente nel suo
letto, nasce un frondoso albero dai cui rami hanno origine i re di Giudea
e i profeti che annunciano la venuta del Messia. Nella parte più alta del
fusto le profetesse Anna ed Elisabetta (Isabella) si chinano di fronte a
Maria, abbigliata con una fine tunica e un velo cinto da un diadema, che
con viso sereno atteggia le mani in un gesto di umiltà, evocando il
momento dell’Annunciazione. La Vergine è l’unico personaggio del
fusto a non soffrire la pressione dei rami dell’albero, simboleggiando
così che fu concepita senza peccato originale. Il capitello di questa
colonna presenta invece la genealogia divina di Cristo: la Santissima
Trinità nella sua versione di paternitas, cioè Dio Padre che
sostiene in grembo il Figlio, nella posa premonitoria della crocifissione,
e sopra lo Spirito Santo in forma di colomba.
I cinque solchi presenti in questa colonna, formati dall’atto di
poggiarvi la mano destra, testimoniano il ringraziamento e la richiesta di
benedizione all’apostolo compiuti da migliaia e migliaia di pellegrini
lungo i secoli. E’ questo uno dei riti più diffusi insieme all’altro,
caratteristico per il pellegrino, di abbracciare sull’altare maggiore il
busto d’argento dell’Apostolo, ormai amico e compagno di vita e
successivamente di scendere nella cripta per venerare le spoglie. Qui,
nelle viscere della terra, nel 1884 fu collocata l’urna d’argento,
sormontata da una stella, contenenti le ossa dell’Apostolo Giacomo e dei
suoi discepoli, Teodoro e Atanasio, nello stesso posto del sepolcro
originale che li aveva accolti prima del nascondimento avvenuto nel secolo
XVI per evitare che cadessero in mano dei pirati inglesi. Per concludere
la descrizione della Cattedrale di Santiago vanno ricordati gli interventi
architettonici più importanti e che ancora oggi rendono questo tempio una
delle opere più imponenti della cristianità: nel 1606 fu aggiunta la
doppia scalinata esterna e nel 1738 l’attuale facciata occidentale
barocca (Obradoiro) con le due torri, quella de las Campanas a destra e all’altro lato, quella de las Carracas.
All’interno l’impronta romanica si è ben conservata: con ben 100
metri di lunghezza (nel 1258 fu allungata di oltre 30 metri), 70 metri di
estensione del transetto e 24 metri di altezza della navata maggiore, la
cattedrale compostellana è la chiesa più grande del romanico spagnolo.
Origini delle peregrinazioni
Nel Medio Evo, i principali promotori delle
peregrinazioni furono i monaci del potente ordine di Cluny.
I pellegrinaggi partivano da tutti i punti d'Europa, incluso l'Oriente, ma
fu nell'XI secolo, quando i re Sancho il Maggiore di
Navarra e Alfonso VI di León tracciarono il Cammino
Francese, che il fenomeno del pellegrinaggio assunse grandi proporzioni.
Il cammino fu tracciato utilizzando fondamentalmente le antiche vie romane
che univano i differenti punti della penisola. Di fronte
all'impressionante afflusso di gente, si vide la necessità di dotare il
cammino dell'infrastruttura necessaria per fornire sostegno ai pellegrini;
così furono costruiti ostelli, edificati ospedali e cimiteri, si crearono
ponti, si eressero chiese, monasteri e abbazie e, quel che è più
importante, furono fondati lungo la rotta un'infinità di piccoli paesi,
che costituiscono un'eredità storica ed artistica di immenso valore.
In quello stesso secolo, un prete francese, Aymeric Picaud,
rese noto un libro chiamato Codex Calixtinus (così chiamato in quanto il testo si riteneva attribuibile al papa
spagnolo Callisto II, ma è assai dubbio che egli ne fosse l'autore), in
cui già si descrive il cammino francese e si forniscono un'infinità di
consigli per percorrerlo. Si tratta senza dubbio della prima guida
turistica dell'umanità. La Guida era stata redatta tra 1130 e 1135
dall'ambiente religioso cluniacense. Questo testo detto anche Liber
Sancti Jacobi è composto da cinque libri: mentre le prime
quattro parti erano dedicate a celebrare le gesta dell'apostolo Giacomo
Maggiore nella quinta si poteva consultare una precisa descrizione dei
percorsi che dalla Francia conducevano al celebre santuario spagnolo nel
limite ultimo della Galizia presso Capo Finisterre. L'autore stesso,
prevedendo le difficoltà che i viandanti avrebbero incontrato
inoltrandosi in terre ancora sconosciute, dopo una personale ricognizione
a cavallo aveva steso questa guida tanto ricca di particolari da poter
sembrare un itinerario turistico: bisogna invece star ben attenti a non
conferire questa limitazione moderna al lavoro perché la Guida è
soprattutto una guida spirituale, il disegno di un itinerario
santo che conduceva tanti pellegrini al luogo spirituale per
eccellenza, appunto Santiago de Compostela dopo aver obbligatoriamente
disegnato un percorso entro cui tutte le tappe di avvicinamento,
caratterizzate dalla visita ad altri importanti Santuari, costituivano
momenti essenziali di un più esteso processo di purificazione che
raggiungeva appunto il suo acme nel sublime momento della visita a
Santiago.
Il Codex Calixtinus, il cui autore o autori ci
sfuggono dal punto di vista della ricostruzione storica, ha la sua fonte
ispiratrice nell’opera dell’Arcivescovo Diego Gelmirez,
una delle figure chiave nella storia del pellegrinaggio a Compostella: il
manoscritto è una compilazione di differenti testi che vengono elaborati
e riunificati da uno o più autori, di origine francese, quasi certamente
cluniacensi, collaboratori di Gelmirez. Dei cinque libri, da menzionare il
primo, di carattere essenzialmente liturgico, che include il celebre
sermone Veneranda dies e il quinto conosciuto come “Guida
del Pellegrino”, che descrive dettagliatamente l’itinerario da
seguire per raggiungere Santiago dal resto dell’Europa. Ne diamo qui una
breve ma importante sintesi:
Il primo tragitto della guida riguardava il percorso che avrebbero dovuto fare i pellegrini che fossero giunti dalla valle del Rodano e naturalmente dall'Italia (via Tolosana). La prima tappa del primo tragitto per Santiago in territorio francese era la città di Arles. Nella cattedrale, celebre per lo splendido portale si custodivano i resti di S. Trofimo evangelizzatore della Provenza oltre che primo vescovo della città e quelle di S.Cesario suo successore nel IV sec. ed autore di importanti testi sacri. Ai margini della città si potevano poi visitare gli Aliscamps che nel ricordo collettivo e tradizionale erano noti come Campi Elisi in quanto vi si vedeva ancora una grande necropoli romana su cui, per processo di interazione tra paganesimo e cristianità o se vogliamo di sovrapposizione culturale, era sorto un cimitero cristiano. La sosta successiva di questo primo tragitto citato dalla Guida era a poche miglia da Arles, al limite della selvaggia area della Camargue, presso il santuario di Sant-Gilles: narrava la leggenda che fosse stato eretto da Wamba re dei Goti stupefatto dalla santità dell'eremita Egidio qui ritiratosi in vita ascetica e capace di ammansire gli animali più feroci. In seguito S. Egidio sarebbe divenuto abate del convento ove sarebbe morto ottuagenario nel 720. Secondo la Guida il suo corpo miracolosamente non avrebbe conosciuto gli orrori della decomposizione e sarebbe rimasto intatto: per questo il sarcofago in cui se ne conservavano i resti divenne oggetto di una profonda venerazione. Da Saint-Gilles si giungeva in prossimità di Saint-Guilhem. Qui in località Gelonne, in una gola racchiusa fra calanchi calcarei, Guglielmo Conte di Tolosa e sostenitore di Carlo Magno aveva fatto erigere un'abbazia benedettina dove da secoli ormai si custodiva il suo corpo. Procedendo verso Narbonne al Capo d'Agde ove sarebbe sorta un'antica statio romana lungo la Via Domitia: qui ogni pellegrino non avrebbe potuto far a meno di venerare i protomartiri cristiani Tiberio, Modesto e Fiorenzo vittime di una persecuzione dei tempi di Diocleziano. Dalla costa ove avrebbero patito il supplizio i corpi di tali eroi cristiani sarebbero poi stati condotti fin a questa località, che dal più celebre fra loro avrebbe preso nome di Saint-Thibery. Prima di valicare i Pirenei ed entrare in Spagna un'importante sosta spirituale era d'obbligo a Tolosa, sulle rive della Garonna, città fondata dai Celti ma poi colonizzata e resa importante (dal 106 a.C.) ad opera dei Romani. La Guida invitava i pellegrini ad entrare nell'importante basilica ove si custodiva il corpo di S. Saturnino, primo vescovo della città, che tanto si adoperò per diffondere il cristianesimo oltre la catena dei Pirenei. Anche egli fu martirizzato ed in modo spaventoso. Sarebbe stato legato e fatto trascinare da un toro, quindi sarebbe stato gettato dall'alto del Palazzo di Tolosa (ove ancora si veneravano gli Dei pagani) a sfracellarsi su una pietra miliare sottostante.
Il secondo itinerario (via Podense) segnato dalla guida era la strada percorsa dai pellegrini che giungevano dalla Renania e dalla Borgogna: il viaggio iniziava in un paesaggio sconvolgente tra picchi vulcanici e procedeva verso le terre aspre d'Alvernia sin a raggiungere Moissac e quindi toccare la Garonna per proseguire verso Ostabat. L'estensore della Guida si preoccupava soprattutto di siti in cui si conservassero reliquie e tombe di martiri: questo spiega l'apparente dimenticanza di Le-Puy e Moissac a tutto vantaggio di Conques nella cui Abbazia si conservavano i resti di Sante Foy la giovinetta di Agen che, coi fratelli, sarebbe stata vittima delle persecuzioni di Diocleziano. Da Agen a Conques corrono 36 leghe: l'autore della Guida un pò genericamente sosteneva che il corpo della fanciulla era stato sepolto in un sito della Valle di Conques ma in realtà nell'Abbazia di Conques la reliquia fu portata dai monaci per rendere ancora più celebre la loro abbazia peraltro fondata direttamente da Carlo Magno: l'enorme tesoro della chiesa e la grande venerazione fu prova nei secoli del fascino spirituale esercitato sui viandanti dall'abbazia di Conques.
Terzo percorso (via Lemovicense) era seguito da chi giungeva dalla Germania o dalle regioni della Lorena e della Champagne. A Vezelay, villaggio collinare della Borgogna ai limiti della selva del Morvan, sorgeva l'illustre Chiesa abbaziale di Sante-Madeleine, uno dei luoghi più venerati della Francia medievale. Si voleva che qui sorgesse la sepoltura della Maddalena: secondo l'estensore della Guida verso Santiago la peccatrice pentita Maria di Magdala dopo l'Ascensione da Gerusalemme avrebbe raggiunto il porto di Marsiglia e prima di morire ad Aix sarebbe vissuta dedicandosi alla preghiera nascosta fra i boschi della Provenza. Una posteriore traslazione avrebbe portato il suo corpo a Vezelay nello stesso periodo in cui sarebbero state portate nell'Abbazia di Autun le supposte spoglie di San Lazzaro: nella Borgogna si trovavano così ad esser oggetto di culto due fra i personaggi più intimi ed amici del Cristo. Il cammino proseguiva quindi per Sainti-Leonard de Noblat nel Limosino, giungendovi attraverso le regioni del Berry e delle Marche. Notre-Dame Sous les Arbres si trovava in un'area tra i corsi fluviali della Vienne e del Tauron, limitata dalle propaggini delle alture d'Alvernia e dell'Ambrazac dove viveva in isolamento il giovane Leonardo, di nobile famiglia, che a Reims era stato discepolo di S. Remigio. Egli aveva contribuito a cristianizzare l'Aquitania ed in seguito aveva deciso di condurre solitaria e religiosa esistenza in questi luoghi disabitati. Era il Santo dei carcerati e dei prigionieri: gli erano riconosciute miracolose qualità curative come testimoniavano le catene, i cippi, le gogne, gli strumenti di tortura quali ex-voto appesi alle pareti della basilica. Dal territorio di Limoges si giungeva quindi a Perigueux città sorta sui resti della romana Vesomna.
A Tours si radunavano i viandanti di
fede provenienti da Parigi e dalle zone centro-settentrionali della
Francia e davano via così al quarto itinerario (Via
Turonense). L'estensore della guida per Santiago doveva
conoscerlo assai bene poiché la parrocchia di Parthenay-le-Vieux era ben
prossima a Poitiers. Egli consigliava di far un passo indietro sin ad
Orleans ad onorare i resti di Sain-Euverte e quindi soffermarsi in
Cattedrale dinanzi al celebre frammento della Croce che vi sarebbe stato
custodito. In Tours era invece conservato, intatto, nella Basilica il
Corpo di S. Martino, il legionario di Roma divenuto vescovo della città
nel IV secolo. Il suo nome era legato alla leggenda del mantello donato al
viandante ed era particolarmente venerato in ambiente rurale e contadino
ritenendosi che avesse il potere di fermare i serpenti e le tempeste. A
Tours era celebrato in diversi periodi: l'11 novembre in occasione del
ciclo santoriale, il 12 maggio in memoria della liberazione della città
da un'invasione normanna nell'840, il 13 dicembre per ricordare che in tal
giorno il suo corpo era stato traslato a Tours dopo un periodo d'esilio ad
Auxerre per ragioni di sicurezza. Risalendo il corso della Vienne si
giungeva quindi a Poitiers dove c'era da rendere omaggio
a S. Ilario, vescovo e confessore impegnato a combattere in Gallia
l'eresia del prete Ario.
Da Poitiers il cammino volgeva verso la Saintonge: a Saint-Jean-d'Angely i
pellegrini avevano da visitare la chiesa del Battista: la testa di questo,
mozzata nel supplizio, vi sarebbe stata portata sin dalla Palestina.
L'autore della Guida mostrava di non avere alcun dubbio su questo
improbabilissimo resoconto. Procedendo la Guida indicava che a Bayle si
trovava la tomba del Paladino Orlando eroe carolingio della lotta contro
gli Arabi invasori. Nelle prossimità di Belin si sarebbero invece trovate
le sepolture di tutti gli altri eroi di Roncisvalle cioè dei paladini
della retroguardia dell'armata di Carlo Magno lì morti per intercettare e
fermare l'avanzata degli Arabi. A Bordeaux nella
Cattedrale era invece da visitare la tomba di S. Severino. Si trattava di
un nobile dell'Aquitania, divenuto poi vescovo di Colonia,: tornato a
Bordeaux avrebbe compiuto il miracolo di oscurare di giorno il cielo allo
scopo di liberare gli abitanti da un assedio di Goti. Ad Ostabat era il punto in cui confluivano tutti i percorsi francesi per accedere
alle Spagne: da tale località si sarebbe sostanzialmente percorso un solo
cammino.
Per valicare i Pirenei quanti giungevano da Tolosa si imbattevano in Oloron-Sainte-Marie, roccaforte medievale del Bearn, incontravano la Valle verso les Ports d'Aspe (odierna Somport=Summus Portus) ed entravano in Aragona. Quelli che partivano espressamente da Ostabat risalivano da Saint-Jean-le-Vieux sin a Roncisvalle dove sorgeva un monastero nel quale potevano esser ospitati: da lì sarebbero quindi penetrati in Navarra. I pellegrini malati o più gracili prima d'affrontare la traversata pirenaica potevano altresì ristorarsi nel sito che tuttora conserva il nome di Hopital Saint-Blaise disposto grossomodo a metà strada fra i punti di partenza e la santa meta. A Roncisvalle, nella Real Collegiata di Nostra Signora, ancora oggi avviene uno dei rituali più significativi del pellegrinaggio jacobeo, la benedizione dei pellegrini al termine della Messa celebrata dai canonici seguendo una antica formula che sintetizza tutto il valore spirituale del “camino”:
“O Dio, che portasti fuori il tuo servo Abramo
dalla città di Ur dei Caldei
e che fosti la guida del popolo d’Israele attraverso il deserto,
ti chiediamo di custodirci, noi tuoi servi, che per amore del tuo nome
andiamo pellegrini a Santiago de Compostella.
Sii per noi compagno nella marcia,
guida nelle difficoltà,
sollievo nella fatica, difesa nel pericolo,
albergo nel Cammino,
ombra nel calore, luce nell’oscurità,
conforto nello scoraggiamento
e fermezza nei nostri propositi perché, con la tua guida,
giungiamo sani e salvi al termine del Cammino e,
arricchiti di grazia e di virtù,
torniamo illesi alle nostre case, pieni di salute e perenne allegria.
Per Cristo nostro Signore. Amen
A Puente la Reina le strade si
congiungevano e i pellegrini dovevano superare il ponte sul rio Arga,
fatto edificare da Donna Munìa o Mayor, moglie di Sancho III il Grande,
onde agevolare il cammino per Santiago de Compostela. Nel territorio de La
Rioja, ai limiti fra Navarra e Castiglia,
ci si doveva fermare ancora a venerare il Beato Domenico (Santo
Domingo de la calzada che tra Redecilla e Najera aveva costruito un
tratto viario di 7 miglia detto la calzada). Il centro di Burgos smistava il traffico dei fedeli nella ricca successione di importanti
cittadine della Tierra de Campos. La cittadina di Fromista era famosa per le ampie coltivazioni di biondo frumento che le davano il
nome. A Carrion de Los Condes, località legata alle
gesta dell'eroe spagnolo per eccellenza contro gli Arabi cioè El Cid
Campeador, esisteva la Chiesa di S. Maria del Cammino. A Sahagun i
pellegrini dovevano pregare sulle tombe dei legionari cristiani Facondo e
Prudenzio. Poi a Leon, capitale del regno medievale che
dalla capitale prendeva nome, i viandanti pregavano e veneravano il corpo
di S. Isidoro, dottore della Chiesa dell'VIII sec., qui
trasportato da Siviglia. Altre tappe del cammino erano poi Astorga (Asturica Augusta), all'incrocio con la strada che giungeva da Merida (Emerita Augusta), Caceres (Castra Caecilia)
e Salamanca (Salamantica).
Continuando nel viaggio di avvicinamento i pellegrini, passati vicino al
monte Irago, vedevano dominare la via la grande fortezza dei Cavalieri
Templari cioè il loro formidabile maniero sulle alture di Ponferrada sul fiume Sil. A Villafranca del Bierzo (Bergiolum)
un soggiorno era meritevole dato che nel medioevo vi sorgeva un importante
Monastero. Si raggiungeva quindi la località di Lugo (Lucus
Augusti) caratterizzata da abbondanza di boschi: quest'ultimo
particolare e la prima parte del nome (Lucus="bosco sacro
dedicato ad Augusto") fa pensare ad un'antica sacralità pagana del
luogo connessa alla venerazione dei Boschi Sacri disseminata per la
Liguria e la Narbonese. Da Lugo si giungeva, procedendo verso l'Atlantico,
la località di Iria Flavia e nei suoi pressi, nella zona
cimiteriale di Compostum si sarebbe rinvenuto, secondo la
leggenda, il tumulo che costituiva l'umile tomba di Giacomo Maggiore
Apostolo, segnata da una stella. A 2 miglia da Santiago de Compostela i
pellegrini si sarebbero lavati e purificati nelle acque del torrente Lavamentula:
quindi si recavano sulla cima del monte Gozo o Monte della Gioia donde avrebbero potuto intravedere il Santuario verso cui, dopo il lungo
cammino, avrebbero preso a correre, raggiungendo il vasto sagrato sin a
trovarsi, estasiati, davanti al Portico della Gloria donde si accedeva al Santuario sin a poter vedere l'agognata statua di S.
Giacomo Maggiore coronando così il sogno della propria vita e sentendosi
ancor più vicini al Dio dei cristiani.
Le peregrinazioni nel corso dei secoli
Durante il Medio Evo le peregrinazioni a Santiago
ricevettero un impulso decisivo quando il papa Callisto II istituì l'Anno Santo Jacobeo (1122) ed il suo
successore, Alessandro III, attraverso la Bolla Regis
Aeternis, concesse la grazia del Giubileo (Indulgenza
Plenaria) a chi visitasse il tempio compostellano negli anni in cui il 25
di luglio (festa di Santiago) cadesse di domenica. Nel XIV secolo inizia
un profondo declino delle peregrinazioni, a causa di una serie di
catastrofi (soprattutto la peste nera) che caratterizzarono il secolo, ed
anche a causa di numerose guerre in cui venne coinvolto il continente
europeo. Lo sviluppo del cammino di Santiago fu strettamente legato, come
abbiamo visto, alla Reconquista spagnola. Nel 1492 avvengono alcuni avvenimenti importanti per la storia dell’umanità
(come la scoperta dell’America, per cui la fine del
mondo non è più Finisterre e nuovi traffici e itinerari ormai
sono aperti sia per lo sviluppo economico sia per l’evangelizzazione) e
la storia di Spagna e d’Europa: la presa di Granada da parte di Isabella
di Castiglia e Fernando di Aragona, il cui
matrimonio nel 1469 aveva finalmente riunito le due corone più importanti
di Spagna; il decreto di espulsione degli ebrei e infine il valenciano
Rodrigo de Borja (Borgia) è eletto Papa con il nome di Alessandro
VI, il quale nel 1494 concederà a Isabella e Fernando il titolo
di Re Cattolici (Reyes Catolicos). E’ in
questo periodo che a ricordo della presa di Granada a Santiago viene
eretto per accogliere il gran numero di pellegrini l’Hospital de
los Reyes Catolicos, trasformato nel 1954 da Franco in un Parador
nacional (albergo di gran lusso), nella stupenda cornice della
piazza dell’Obradoiro.
La decadenza del pellegrinaggio si accentuò nel XVI secolo: vale come
esempio la vigorosa requisitoria pronunciata da Lutero il
25 luglio 1522 contro il pellegrinaggio a Santiago, dove, a suo dire, non
esiste alcuna prova certa dell’esistenza della tomba dell’apostolo.
Egli si dichiara ostile al lungo viaggio, che assimila a un atto di
idolatria, e, pur intessendo un panegirico del santo, condanna
energicamente questa forma di culto. L'irruzione del protestantesimo e le
guerre di religione che sconvolsero l’Europa determinarono un
progressivo disinteresse verso l’istituzione del pellegrinaggio; così
come l'occultamento dei resti dell'Apostolo durante quasi 300 anni, per
evitare che cadessero nelle mani dei pirati inglesi guidati da sir Francis
Drake poste in atto dall’arcivescovo Don Juan de Sanclemente,
per evitare saccheggi e nuove profanazioni simili a quelle perpetuate
alcuni secoli prima da Al-Manzor. L’arcivescovo trasferì una parte del
sepolcro a Ourense. Questo episodio creò per i secoli futuri confusione
perché non furono chiare le circostanze di questo occultamento parziale o
totale delle reliquie dell’Apostolo. La confusione che si creò andò di
pari passo con il declino del pellegrinaggio a danno della stessa
devozione a Santiago tanto che nel seicento si arriva a mettere in
discussione persino il ruolo di Patrono di Spagna da sempre assegnato a
san Giacomo per sostituirlo con Santa Teresa d’Avila o San Michele.
Successivamente Illuminismo e Rivoluzione francese assesteranno al mondo
religioso legato al pellegrinaggio e al culto delle reliquie un colpo
ancora più forte di quello della Riforma protestante.
Questo processo involutivo culminò nel XIX secolo con
la pressoché totale scomparsa delle peregrinazioni. Recenti studi hanno
dimostrato che per quanto flebile il pellegrinaggio a Compostella non si
è mai veramente interrotto, nonostante la guerra d’Indipendenza contro
Napoleone, le ripetute leggi di alienazioni dei beni ecclesiastici che
eliminavano praticamente tutta l’infrastruttura di accoglienza
indispensabile per i pellegrini, epidemie di colera e il riconoscimento
ufficiale delle apparizioni mariane a Lourdes, luogo che negli anni vedrà
sempre più aumentare il numero dei pellegrini). Commentano le cronache
che il 25 luglio del 1867 c'erano solo quaranta pellegrini nella città di
Compostela. E’ solo alla fine del secolo XIX che avviene il miracolo:
grazie all’impegno del cardinale Miguel de Payà y Rico viene effettuata una campagna di scavi sotto l’altare maggiore della
Cattedrale e scoperte le reliquie a suo tempo occultate per paura di Drake
nel XVI secolo. Una speciale Commissione Pontificia studiò i resti
ritrovati e attraverso una indagine scientifica e anche empirica (la Commissione si avvalse di una reliquia conservata a Pistoia, un
pezzetto di apofisi mastoidea che era stata prelevata a Diego Gelmirez e
donata all’arcivescovo della città toscana che combaciava perfettamente
con la mandibola ritrovata negli scavi) poté garantire l’autenticità.
Nel 1884 il papa Leone XIII emise la Bolla “Deus
Omnipotens” ove confermava l'autenticità dei resti
dell'Apostolo che erano stati recuperati e questo evento fece risorgere
poco a poco le peregrinazioni, stimolando il desiderio di mettersi in
cammino di nuovo sulla rotta di Compostella.
Piano piano durante il Novecento assistiamo a diversi tentativi di
promozione del pellegrinaggio, anche se non mancarono difficoltà (prima
guerra mondiale, guerra civile spagnola, seconda guerra mondiale): è in
questo tragico periodo che una studiosa francese, Madame Vielliard,
copia e traduce per la prima volta il Codex Calixtinus,
contribuendo ad un sempre più maggiore interesse alla questione jacobea.
Solo a guerra finita, con l’Anno Santo del 1948, grazie all’impegno
inarrestabile del cardinale Quiroga Palacios, arcivescovo
compostellano di grandi qualità spirituali e organizzative, che il
pellegrinaggio a Santiago vivrà un nuovo e sempre più crescente
interesse storico e religioso. Gli anni Cinquanta e Sessanta vedranno
sorgere centinaia di associazioni culturali, religiose di promozione e
riscoperta del cammino e un sempre più incremento del pellegrinaggio a
piedi o in bicicletta. Storiografia e letteratura (studi storici e
resoconti di pellegrinaggi) ma anche il cinema (la Via Lattea di
Luis Bunuel, capolavoro sul Camino anche se con forti accentuazioni
anticattoliche del geniale ed irrequieto regista) daranno il loro
contributo alla crescita dell’interesse europeo verso Santiago, come
anche la recuperata democrazia in Spagna alla morte del “caudillo”
Franco (1975). Fra i primi che contribuirono alla grande ripresa merita
una menzione il sacerdote Elias Valina, curato del
Cebreiro, per aver dedicato al Cammino importanti studi di ampio respiro
storico e spirituale, anche se molti lo ricordano quasi esclusivamente per
aver “inventato” la famosa freccia gialla, “la flecha
amarilla”, con la quale ha segnato muri, cippi, cartelli, alberi e
pali, strade, sentieri, viottoli, campi e città per indicare la rotta
verso Compostella.
La riscoperta del pellegrinaggio e il “fenomeno Santiago”
Oggi, in un rinnovato fervore spirituale, migliaia di persone raggiungono Santiago ripercorrendo le antiche vie, ricevendo ospitalità negli ospizi e nelle chiese disseminate lungo il percorso che nel 1987 il Consiglio d’Europa ha proclamato “Primo Itinerario Culturale d’Europa” e nell'anno 1993 gli è stato concesso dall'UNESCO il titolo di “Patrimonio Culturale dell'Umanità”. Lo stesso Papa Giovanni Paolo II nel 1982 radunò a Santiago gli abati delle principali abbazie d’Europa e consegnò alla città un memorabile discorso sulle radici cristiane dell’Europa: «Per questo, io, Giovanni Paolo, figlio della Nazione polacca, che si è sempre considerata europea, per le sue origini, tradizioni, cultura e rapporti vitali, slava tra i latini e latina tra gli slavi; io, successore di Pietro nella Sede di Roma, Sede che Cristo volle collocare in Europa e che l’Europa ama per il suo sforzo nella diffusione del Cristianesimo in tutto il mondo; io, Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale, da Santiago, grido con amore a te, antica Europa: “Ritrova te stessa. Sii te stessa”. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici. Torna a vivere dei valori autentici che hanno reso gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza negli altri continenti. Ricostruisci la tua unità spirituale, in un clima di pieno rispetto verso le altre religioni e le genuine libertà. Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Non inorgoglirti delle tue conquiste fino a dimenticare le loro possibili conseguenze negative; non deprimerti per la perdita quantitativa della tua grandezza nel mondo o per le crisi sociali e culturali che ti percorrono. Tu puoi essere ancora faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo. Gli altri continenti guardano a te e da te si attendono la risposta che san Giacomo diede a Cristo: “Lo posso”».
Infine nel 1989 a Santiago si svolse una delle famose Giornate
Mondiali della Gioventù: da allora sempre più numerosi sono i
giovani e non che dalla vecchia Europa e dagli altri continenti si
muovono, come gli antichi pellegrini, verso la città dell’Apostolo.
Durante quell’incontro oltre alla veglia notturna e alla S. Messa sul Monte
do Gozo particolarmente coinvolgente fu la preghiera recitata nella
basilica compostellana dal Papa dopo il gesto dell’abrazo,
l’abbraccio all’Apostolo che ogni pellegrino compie al termine del suo
pellegrinaggio a suggellare l’intima comunione e confidenza con Santiago
l’amico del Signore. Ecco il testo di quella preghiera che racchiude non
solo il valore della Giornata mondiale della Gioventù ma l’autentico e
genuino significato del pellegrinaggio cristiano e jacobeo:
San
Giacomo!
Sono qui, nuovamente, presso il tuo sepolcro / al quale mi avvicino oggi, / pellegrino da tutte le strade del mondo, / per onorare la tua memoria ed implorare la tua protezione. / Giungo dalla Roma luminosa e perenne, / fino a te che ti sei fatto pellegrino sulle orme di Cristo / ed hai portato il suo nome e la sua voce / fino a questo confine dell’universo. / Vengo dai luoghi di Pietro / e, quale suo successore, porto a te / che sei con lui colonna della Chiesa, / l’abbraccio fraterno che viene dai secoli / ed il canto che risuona fermo ed apostolico nella cattolicità. / Viene con me, san Giacomo, un immenso fiume giovanile / nato dalle sorgenti di tutti i paesi della terra. / Qui lo trovi, unito e sereno alla tua presenza, / ansioso di rinnovare la sua fede nell’esempio vibrante della tua vita. / Veniamo a questa soglia benedetta in animato pellegrinaggio. / Veniamo immersi in questo copioso esercito / che sin dalle viscere dei secoli è venuto portando le genti fino a questa Compostela / dove tu sei pellegrino ed ospite, apostolo e patrono. / E giungiamo qui al tuo cospetto perché andiamo uniti nel cammino. / Camminiamo verso la fine di un millennio / che desideriamo sigillare con il sigillo di Cristo. / Camminiamo ancora oltre, verso l’inizio di un millennio nuovo / che desideriamo aprire nel nome di Dio. / San Giacomo, / abbiamo bisogno per il nostro pellegrinaggio / del tuo ardore e del tuo coraggio. / Per questo veniamo a chiederteli / fino a questo “finisterrae” delle tue imprese apostoliche. / Insegnaci, Apostolo ed amico del Signore, / la via che porta a lui. / Aprici, predicatore delle Spagne, / alla verità che hai imparato dalle labbra del Maestro. / Dacci, testimone del Vangelo, / la forza di amare sempre la vita. / Mettiti tu, patrono dei pellegrini, / alla testa del nostro pellegrinaggio di cristiani e di giovani. / E come i popoli all’epoca camminarono verso di te, / vieni tu in pellegrinaggio con noi incontro a tutti i popoli. / Con te, san Giacomo apostolo e pellegrino, / desideriamo insegnare alle genti d’Europa e del mondo / che Cristo è - oggi e sempre - / la via, la verità e la vita.
Questi due eventi con protagonista il Papa “venuto
da un paese lontano” hanno sicuramente incrementato il valore del
pellegrinaggio: soprattutto il pellegrinaggio a piedi sta rivivendo una
stagione particolarmente feconda dato il significato religioso e
penitenziale dello stesso, recuperando quei valori dello spirito, della
capacità di riflessione ed interiorizzazione della fede che un percorso
non legato ai ritmi frenetici e spesso alienanti della nostra era, sa
ancora conservare intatti e nuovi per l’uomo contemporaneo. Dopo secoli
di oblio, dovuti in parte a situazioni storiche e religiose che abbiamo
ricordato come la Riforma protestante, le guerre di religione, il
brigantaggio, le varie epidemie e i conflitti fra gli Stati nazionali
dell’Europa, oggi si può parlare di un “fenomeno Santiago”
e non si conosce nessun altro itinerario che come questo catturi
l’immaginazione di migliaia di viaggiatori e pellegrini che ogni anno a
piedi, in bicicletta o a cavallo muovono verso questo estremo lembo del
vecchio continente per andare ad onorare la memoria e la tomba di un umile
pescatore di Galilea, discepolo e Apostolo del Signore, lì arrivato per
annunciare il messaggio religioso più sconvolgente e straordinario che il
mondo abbia conosciuto: il Vangelo.
Esiste oggi sicuramente un’esigenza spirituale profonda che pare
soddisfatta dal pellegrinaggio, in particolare per coloro che osano
affrontarlo a piedi. Camminare ha l’effetto di sollevarci dalle
preoccupazioni del mondo moderno, è un’esperienza “catartica”,
di purificazione, di riscoperta dell’essenzialità della vita e forse
anche della stessa fede. Il pellegrinaggio a Santiago offre poi un valore
aggiunto, nel senso che è anche un cammino attraverso la storia, la
civiltà, l’esperienza artistica e religiosa: ogni giorno si incontra
qualche rovina o qualche grandioso monumento che ricorda al viaggiatore di
essere sulle orme di un passato illustre, di un tempo in cui milioni di
persone percorrevano la medesima via, per amore, per scontare una pena,
per senso del dovere, per paura, o per pura e semplice fede. E tale
pellegrinaggio, anche per un ateo, è un’esperienza che lascia un segno
profondo. E’ un viaggio popolato di fantasmi, spiriti di grandi uomini,
poveri e criminali, menestrelli e visionari, costruttori e artisti, santi
e prìncipi. Un intero catalogo di umanità è passato di qui, calpestando
questa lunga strada. Ha scritto un giornalista francese “il Camino di Compostella non è che uno spezzone pedestre di una strada sinuosa
cominciata col nostro concepimento. La vita intera è un pellegrinaggio.
Essa ci conduce fino alla Vita che non avrà fine e di cui la morte umana
è il misterioso passaggio"
Il grande Papa Giovanni Paolo II nel messaggio d’inizio
dell’Anno Santo jacobeo del 2004, il primo del terzo millennio del
cristianesimo, ha scritto: “il Cammino di Santiago non può
dimenticare la sua dimensione spirituale. Il fenomeno jacobeo non può
alterare la propria identità a causa dei fattori culturali, economici e
politici che porta con sé. Nei secoli, l’essenza del pellegrinaggio a
Santiago de Compostella, è stata la conversione al Dio vivente attraverso
l’incontro con Gesù Cristo. Il pellegrinaggio, dunque, nonostante il
suo rigore e la sua fatica, è un gioioso annuncio di fede, un cammino
personale di testimonianza sull’esempio del “Figlio del Tuono”,
l’Apostolo Giacomo, amico del Signor”.
“Non basta essere nel cammino quanto piuttosto essere il cammino"
Lessi questa frase nella “concha”,
la conchiglia del pellegrino, in uno dei tanti zaini a fianco del letto in
un rifugio del Cammino di Santiago, durante il pellegrinaggio a piedi da
me fatto nel giugno del 2001. Queste parole, molto evocative, mi
colpirono, anche se il significato più profondo lo compresi camminando, e
lo scopro man mano che ripenso all’esperienza fatta. Non dico niente di
nuovo indicando quanto sia importante il viaggio o il pellegrinaggio
nell'espressione della religiosità di tutti i tempi e di tutti i popoli:
il pellegrinaggio alla Mecca o a Gerusalemme e a Roma per rimanere appena
nell'ambito delle religioni monoteiste. Gli stessi fondatori delle
religioni esistenti sono pellegrini o ricevono la rivelazione durante un
viaggio presso luoghi ritenuti "sacri". I Vangeli sinottici
racchiudono l'attività messianica di Gesù di Nazareth in un viaggio a
Gerusalemme, mentre Buddha riceve l'illuminazione sotto il fico di Benares
al termine di un pellegrinaggio. Lo stesso Socrate, spostandoci in un
ambito e in una cultura diversa, pellegrino al tempio di Apollo, comprende
a Delfo la via aurea della sapienza: "Conosci te stesso!".
Mentre Omero nell'Odissea descrive il ritorno di Ulisse ad Itaca come il
compimento di un viaggio verso una umanità perduta. Tanti gli anni di
viaggio quanto i dieci anni di violenza e di guerra nell'assedio di Troia.
E così si potrebbe continuare passando dalle religioni alla letteratura e
a tante altre espressioni del genio umano, arrivando anche ad artisti e
pensatori dei nostri giorni.
Chi ha
percorso il cammino delle stelle, la “via lattea”,
il cammino di Santiago, si accorge mentre cammina che la Cattedrale
dell'Apostolo non può essere la meta, ne è solo un grandioso segno. La
meta sei tu, è ciascuno nel suo rapporto con sé stesso e con Dio: "siempre
se anda el camino!", è l'espressione tipica che si sente quando
si finisce il viaggio a Compostella. Forse la domanda posta da Dio ad
Adamo nel giardino dell’Eden “Dove sei?” (Gen 3,9) è allo
stesso tempo una risposta che l'autore della Genesi dà a noi che ci
interroghiamo sul perché o sulla necessità di pellegrinare e di
intendere la vita come un viaggio. Forse questa domanda risponde ad altre
domande, i motivi per cui uno lascia casa e parte. La differenza che corre
tra un pellegrino e chi, pur viaggiando, magari non lo è affatto. Si può
essere sul cammino anche per caso. È la condizione del vagabondo che non
sa dove si trova, né da dove viene e dove sta andando.
Invece il pellegrino conosce bene cosa si è lasciato alle spalle e dove
è diretto. Quanto si incontrerà sul cammino sarà una scoperta sempre
nuova. La conchiglia, simbolo del pellegrinaggio a Compostella, riassume i
temi essenziali del cammino. Da un'unica origine partono le linee della
"vieira" e tutte si riconducono allo stesso punto. Come
dire che da Dio siamo generati e, ciascuno per la sua strada, a Lui
torniamo. La conchiglia ricorda anche il battesimo. Il pellegrinaggio è
nato come forma penitenziale, per ridonare a chi è "lontano"
l'innocenza delle origini. Il segno della “concha” è anche
il simbolo del cuore. Tutte le esperienze che si vivono durante il cammino
della vita devono esservi custodite, poiché Dio si rivela nella storia di
ognuno ed è lì che propriamente desidera essere cercato. "Non
basta essere nel cammino quanto piuttosto essere il cammino”. Il
cammino di Santiago non è solo un tragitto geografico. Il cammino
significa, in ultima istanza, la vita umana. Pellegrinare è camminare
senza patria nell’esilio di questo mondo. La fatica del cammino, non
riconducibile soltanto a quella fisica, ci indica che ogni uomo è, per
essenza, “viator”, pellegrino, creato da Dio e liberato per
mezzo di Cristo.
“Per grazia di Dio io sono uomo e cristiano, per azioni gran
peccatore, per condizione un pellegrino senza tetto, della specie più
misera, sempre in giro da paese a paese. Per ricchezza ho sulle spalle un
sacco con un po' di pane secco, la santa Bibbia , e basta”, le
parole d’inizio dei “Racconti di un pellegrino russo”
(1881), un classico della spiritualità cristiana, manifestano la
condizione di “creatura” fragile e debole del pellegrino:
l’affermazione della creaturalità dell’uomo è il pilastro del
Cammino: chi non cammina non sa da dove parte né ha coscienza di dove
deve arrivare. Pellegrino è colui che abbandona la sua casa, lascia la
sua patria e intraprende di andare verso una terra lontana per cambiare la
sua situazione. Quando uno si decide a camminare sperimenta la
spogliazione, l’abbandono, si rende conto che quello che possiede non è
un “assoluto”. L’immagine del pellegrino riporta alla
memoria la figura di Abramo. Ricorda la chiamata e l’esodo nel deserto e
la terra promessa. La spiritualità del Cammino jacobeo coincide con la
spiritualità biblica. Il credente è colui che esce dalla sua patria, da
quello che considera proprio, nasce di nuovo, abbandona le sue sicurezze e
i suoi limiti, le sue “Sodoma e Gomorra” e senza voltarsi
indietro comincia il suo itinerario verso la meta: il cammino di Santiago
suscita e invita a pensare che l’uomo non è l’unico signore né della
storia né della natura. Il viandante è colui che scopre il Creatore e sa
di essere immagine di Dio.
Colui che cammina, senza altro tempo che quello cronometrato dalla
creazione, senza altro rumore che il silenzio della natura e dei suoi
passi, percepisce che essere uomo significa capacità di apertura, capacità
di cercare, di incontrare ed interrogare tutto quello che lo circonda. Ma
soprattutto la sua ricerca è volta all’infinito, al mistero, a Dio
nella profondità della sua interiorità (cfr. S.Agostino “Deus
interior intimo meo, superior summo meo”). Il pellegrino è inoltre
un vessillo della speranza, perché sa che la sua meta è provvisoria, in
quanto pian piano, passo dopo passo, scopre l’apertura verso la
pienezza. Il cammino di Santiago è stato sempre un invito ad andare più
in là, “ultreya”: dal Monte della Gioia, guardando verso
Santiago i pellegrini sanno che la gioia di aver raggiunto una meta non
appaga la convinzione che l’uomo deve continuare a camminare, che si è
appena all’inizio. Il pellegrino dopo essere stato presso la tomba di S.
Giacomo, aver contemplato il Portico della Gloria, aver visto e toccato la
colonna di Jesse che lo univa a tutta l’umanità, aver pregato e
ricreato la sua anima con il silenzio, i canti e la Parola, si dirigeva a
contemplare la grandezza dell’Oceano, e toccava con le sue mani,
simbolicamente, il “Finisterrae”, il mondo allora conosciuto.
Tuttavia il pellegrino nell’incontro con se stesso e con l’Assoluto,
nel cammino, mai si trova solo. Il cammino del pellegrino ha un Pedagogo.
Per il viandante del cammino di Santiago il Pedagogo è Cristo. Pedagogo e
cammino, per il pellegrino medievale come ora per quello del terzo
millennio, si fanno uno. Perché il cammino per l’uomo che crede è Gesù,
e questo Cammino non è che un simbolo dell’unico e autentico cammino
per gli uomini. Per raggiungere l’Assoluto, per avvicinarsi a Dio non
c’è che un cammino, Gesù Cristo, la forma visibile dell’Invisibile (Gv
1,18), l’Immagine del Padre, l’icona di Dio (Col 1,15),
il Verbo fatto carne (Gv 1,14). Egli è Via, Verità, Vita (Gv
14,6), guida di tutti i viandanti (Lc 24,13).
Mi
piace ricordare, percorrendo queste strade, strade del mondo e della vita
cristiana, quello che il papa Paolo VI scriveva nel discorso di apertura
del secondo periodo del Concilio Vaticano II il 29 settembre 1963: “Donde
parte il nostro cammino, quale via intende percorrere e quale meta vorrà
proporsi il nostro itinerario? Queste tre domande hanno una sola risposta,
che qui in quest’ora stessa dobbiamo a Noi stessi proclamare e al mondo
annunciare: Cristo! Cristo nostro principio, Cristo nostra via e nostra
guida, Cristo nostra speranza e nostro termine. Abbia questo Concilio
piena avvertenza di questo molteplice e unico, fisso e stimolante,
misterioso e chiarissimo, stringente e beatificante rapporto tra noi e Gesù
benedetto, fra questa santa e viva Chiesa che noi siamo e Cristo da cui
veniamo, per cui viviamo e a cui andiamo!” (Paolo VI, in Enchiridion
Vaticanum 1, EDB, 1993, nn.143-145).
Attualmente il cammino a Compostella, in una Spagna mistica, ardente,
struggente, sfrenata, laica, sfarzosa, gloriosa...incantata, terra di
Vergini, cattedrali, monasteri, cavalieri e pastori continua ad accogliere
la ricerca di numerosi viandanti. Parlare del cammino risulterà sempre
una riflessione povera se non si torna a calcare la strada che racchiude
più parole di tutti i diari scritti dai pellegrini. Considerato che il
pellegrinare non riguarda le gambe soltanto, ma soprattutto il cuore, ogni
cristiano può e deve adottare questa attitudine nella sua vita,
orientandola fino all’incontro col Padre, attraverso Cristo, cammino
vivente (Eb 10,19-22), con la forza dello Spirito. Il cammino che Gesù
propone ai suoi discepoli va nel senso contrario a quello della sua
incarnazione: innalza, divinizza l’uomo facendolo partecipe del
dinamismo della sua morte e risurrezione e della sua stessa vita (2Pt
1,4). Chi non si considera pellegrino, difficilmente potrà sentirsi
cristiano, discepolo di un pellegrino e membro di un popolo che cammina
verso Dio. E’ così anche per la Chiesa, popolo pellegrinante per
eccellenza che dal deserto dell’Esodo verso la Gerusalemme celeste “prosegue
il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di
Dio” (LG 8).
Nella cattedrale compostellana un rito, che risale al XIII secolo, viene
ripetuto ancora oggi ogni domenica e nelle solennità al termine della
Messa del pellegrino: è il “botafumeiro”,
il grande incensiere d’argento di 80 Kg. che viene fatto oscillare
spettacolarmente da un estremo all’altro della navata a crociera. Alcuni
sostengono che fosse usato un così grande turibolo per spargere più
incenso possibile e attutire l’odore di una folla enorme di pellegrini
che quotidianamente raggiungevano la casa dell’Apostolo. Ma forse è un
altro il significato di questo rituale sempre più richiesto dai
pellegrini: esso rappresenta bene il culmine del “camino de Santiago”,
la trasfigurazione del pellegrino, che qui giunto purificato da giorni e
giorni di fatica, solitudine e preghiera, riconciliato con il sacramento
della penitenza, dopo aver preso parte alla mensa del Signore nel
banchetto eucaristico può innalzare il suo ringraziamento con la solenne
incensazione. “Come incenso salga a te o Dio la mia preghiera, le
mie mani alzate come sacrificio della sera” (Sal 141,2); ”Come
incenso spandete un buon profumo, fate fiorire fiori come il giglio,
spandete profumo e intonate un canto di lode” (Sir 39,14); “dalla
mano dell’angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio, insieme con le
preghiere dei santi” (Ap. 8,4). Il fumo simboleggia il movimento
ascendente della preghiera, evoca l’antica offerta dei sacrifici, allude
inoltre alle buone disposizioni che dovrebbero risplendere nei cristiani e
alla loro autentica testimonianza “siano rese grazie a Dio, il quale
ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde per mezzo nostro il
profumo della sua conoscenza nel mondo intero! Noi siamo infatti dinanzi a
Dio il profumo di Cristo” (2Cor 2,14-15). Il sorprendente esito del
pellegrinaggio è che questo non si conclude a Compostella, ma permane per
sempre nel cuore di chi l’ha intrapreso il desiderio profondo di seguire
quel Pellegrino chiamato Gesù di Nazareth e di portarne il suo messaggio
sconvolgente sulle strade di questo mondo, fino ai confini della terra.
Termina il “Camino”…, comincia una nuova storia.