25° anniversario dell'Ordinazione sacerdotale di don Gino, don Tito e don Giuseppe
Mentre il sole stava calando dietro al colle di Lividonia, nello stadio di Turchese cinto dall'abbraccio della folla festante… «… prende il via il palio marinaro!», concluderebbe ogni buon santostefanese. No, questa volta la conclusione è molto diversa, direi spiazzante, rispetto a quella legata alla manifestazione del 15 agosto nel ridente paese argentariano: «Viene celebrata una messa davanti al municipio, con due vescovi, una ventina di sacerdoti, oltre 500 fedeli e soprattutto loro tre: don Gino, don Giuseppe e don Tito, che ricordano così il 25° della loro ordinazione, celebrata il 29 giugno del 1994 nell'antica cattedrale di Sovana dall'allora vescovo Giacomo Babini». «Chiediamo al Signore che questo momento di preghiera lasci una traccia positiva nel nostro cammino di fede per le comunità di Porto santo Stefano, Orbetello e Bagni di Gavorrano», ha pregato il vescovo Giovanni, accanto al confratello francescano padre Rodolfo, vescovo di Grosseto, facendo riferimento alle tre comunità servite dai festeggiati. «Chi entra oggi in una libreria cattolica rimane colpito dalla numerose pubblicazioni sui sacerdoti, che ne parlano da tutti i punti di vista: la figura del prete fa da sempre parte del nostro immaginario collettivo, della nostra storia, della nostra coscienza occidentale, ma in questo momento di preghiera lascerei da parte considerazioni di questo tipo per metterci in ascolto di quello che stiamo celebrando, chiedendo alla liturgia, la grande maestra della vita cristiana, di farci comprendere nel profondo il mistero che celebriamo», così, rileggendo il libro liturgico con il rito dell'ordinazione sacerdotale, monsignor Roncari ha commentato il momento nella bella e profonda omelia. «"La santa Madre Chiesa - ha continuato citando il rituale dell'Ordine - chiede che questi fratelli siano ordinati presbiteri": quindi non si tratta di un'autocandidatura, ma di una richiesta della Chiesa. Questa semplice domanda illumina in modo particolare il ministero che noi sacerdoti abbiamo ricevuto: nessuno ha diritto ad essere ordinato prete, diacono o vescovo, è la predicazione apostolica che chiede la nostra disponibilità. La Chiesa non è una multinazionale che ha bisogno di personale specializzato per andare avanti; questa è un'immagine distorta, spesso veicolata dai media; il fine ultimo della Chiesa è che il Signore Gesù sia conosciuto, sia creduto e sia amato». Padre Giovanni è passato poi agli altri compiti del sacerdote… «Dopo la predicazione, il momento più alto e solenne è la celebrazione dei santi misteri, amando e servendo tutta la comunità cristiana. Non dimentichiamo che siamo costituiti presbiteri per tutto il popolo di Dio, non per un gruppo: le pecore non si scelgono, si accolgono. Dobbiamo guardarci da una concezione elitaria della Chiesa che non è mai il piccolo gruppo di eletti, ma l'immenso popolo di Dio di ogni lingua, popolo e nazione». Quindi ha fatto riferimento «ai difficili momenti che stiamo vivendo, sia all'interno della Chiesa che nella società in generale», invitando i sacerdoti a non rimanere schiacciati e smarriti, ma ad unire la loro vita a Cristo sommo sacerdote, consacrandosi a Dio, insieme con lui, per la salvezza del mondo. L'ultima parte dell'omelia monsignor Roncari l'ha rivolta in particolare ai tre festeggiati: «Ora, se la Chiesa è l'immenso popolo di Dio, allora quanta sapienza, quanta pazienza, quanta capacità di discernimento ci viene chiesta perché ognuno si senta compreso, invitato ed accolto. Vivete queste virtù nella celebrazione eucaristica, dove la carne dell'uomo e la carne di Dio s'incontrano; nella celebrazione sacramentale della riconciliazione, dove il sangue versato per la remissione dei peccati diventa concreto evento per colui che chiede perdono. La vita c'insegna che questa riconciliazione non coincide semplicemente con il confessionale, ma si realizza con un incontro voluto, ricercato, offerto, costruito con tenerezza fraterna, sempre attenti alla vita reale del fratello, ai suoi bisogni, alle sue fragilità per poter poi dire finalmente quelle parole stupende: "vai in pace, ti sono rimessi i tuoi peccati". Cari Giuseppe, Tito e Gino, sappiate ripetere per tutta la vostra vita, nell'apostolato quotidiano e spesso silenzioso e nascosto, le parole di Paolo a Timoteo: "So di chi mi sono fidato, so in chi ho posto la mia fiducia e sono convinto che egli è capace di custodire fino a quel giorno ciò che mi è stato affidato". E possiate ripetere anche le parole di san Pietro: "Signore tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene"». L'omelia si è conclusa con una preghiera di san Francesco, in quest'anno nel quale le diocesi toscane offriranno, il 4 ottobre, l'olio che arderà per 12 mesi sulla tomba del Poverello, del quale sono seguaci i due vescovi concelebranti, padre Giovanni e padre Rodolfo. La Messa, dedicata ai santi Pietro e Paolo, è continuata nel modo consueto, non prevedendo la celebrazione dell'anniversario nessun rito particolare. Ma, se non lo prevedeva il rito, questo momento particolare c'è stato ugualmente: durante la comunione, terminato il canto del coro che radunava cantori che, nell'arco di diversi decenni, hanno fatto parte dei vari cori parrocchiali del paese, nella piazza gremita, con il traffico congestionato che scorreva a poche decine di metri e villeggianti che passeggiavano sulla banchina con cani e bambini al seguito (molti più i primi che i secondi, purtroppo), un silenzio suggestivo e suggestionante è calato improvviso, laddove nelle serate estive il frastuono la fa da padrone. Si potevano udire soltanto i versi dei gabbiani che roteavano in quota. Il mare pareva una tavola di un azzurro che le prime ombre della sera rendevano sempre più turchino. In un attimo il tempo è sembrato sospendersi fra cielo e mare, mentre una lieve brezza di maestrale attenuava ristoratrice l'intensa calura. La brezza, il respiro di Dio come l'interpretò il profeta Elia sul monte di Dio, era scesa per dire la sua e benedire l'assemblea liturgica. «Nel mare del silenzio, una voce suonò», ci faceva cantare un vecchio canto vocazionale... Al termine della messa, i ringraziamenti dei tre sacerdoti festeggiati: molto stringati quelli di don Gino e don Tito, più articolato quello di don Giuseppe, come era logico che fosse, visto che «giocava in casa», essendo nativo del paese argentariano, anche se poi le vicende della vita lo hanno portato a ritornare alle origini (quando è nato lui, Porto santo Stefano dipendeva da Grosseto), andando a servire la diocesi sorella del capoluogo maremmano. E qui c'è scappata anche qualche lacrima, quando don Benedetti ha ricordato «i genitori che in quel momento gioivano affacciati dal Cielo»; il pensiero dei compaesani è andato subito a Sergio, padre di don Giuseppe, storico governatore della Misericordia locale e sempre vicino a tutti i parroci che si sono succeduti. Un grande rinfresco offerto dalla parrocchia a tutta la popolazione nella piazzetta antistante la chiesa, sul mare solcato dai numerosi yacht, vele e barche da diporto che rientravano dopo una giornata nelle calette dell'Argentario, ha posto fine alla bella festa popolare, che ha dato respiro e fiducia a tante anime in un periodo storico in cui si parla di Chiesa spesso soltanto per infangare, criticare o deridere.
Dal Giornale diocesano Confronto/Toscana Oggi del 7 luglio 2019 Landini don Mariano
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